19 maggio 2010

Esserci o non esserci

Con riferimento all'agguato di Herat avvenuto lunedì scorso, in cui hanno perso la vita due soldati italiani ed altri due sono stati feriti, voglio riportare l'editoriale di Alberto Infelise pubblicato sull'edizione odierna di Metro.

INFANTILISMO DEMOCRATICO

Che tenera la nostra democrazia, verrebbe da darle il ciuccio e cullarla. Poi magari fare tò-tò sul sederino a certi rappresentanti del popolo che non esitano, nonostante l’età pensionabile, a fare sfoggio di infantilismo. La questione è semplice: le guerre (ops, le missioni di pace, pardòn) o si fanno o non si fanno. Se si decide di farle, ci si mandano i nostri militari. Che sanno quel che vanno a fare, e infatti ci vanno armati, mica con paletta e secchiello. È un insulto a loro, alle loro famiglie, alla storia (in generale e alla nostra in particolare), rifare l’indegno balletto “ci stiamo ancora-no non ci stiamo più dai” tutte le volte che un lutto ci colpisce.

Che vuol dire? Che le guerre (ops, le missioni di pace, pardòn) le facciamo solo se siamo sicuri di non farci male? Il rispetto e la gratitudine per i militari che sacrificano la loro vita per lo Stato passa anche per il non cambiare idea ogni sei minuti sulla politica estera e sul ruolo delle Forze Armate.

La morte è una cosa seria, non l'ennesimo palcoscenico guitto per l'onanismo bicamerale. Con che faccia alcuni parlamentari, proprio nel giorno della morte dei nostri Alpini, si permettono la leggerezza di dire “vabbe', ma a che serve stare lì”?

Magari se ve lo foste chiarito per bene prima di mandarceli, loro se ne stavano a casa ed evitavano di morirci in Afghanistan. Ché a occhio e croce qualcosa di meglio da fare ce l'avevano.

Sono decisamente d'accordo con il ragionamento di Infelise: che senso ha mandare dei soldati a fare il lavoro dei soldati per poi stupirsi se i soldati vengono uccisi? (Stupore oltretutto manipolato per scopi politici)

Occorreva appunto chiarirsi le idee PRIMA di impegnarsi nella missione, e poi appunto decidere di NON impegnarsi.
Sono assolutamente contrario all'ingerenza di una nazione nelle faccende interne di un'altra. Specialmente se questa ingerenza viene concretizzata per mezzo di installazioni militari.

E soprattutto sono contrario quando si appoggiano tali ingerenze solo per vassallaggio nei confronti della potenza egemone.
Non venitemi a raccontare che la presenza delle truppe in Afghanistan (ma come in Iraq, Libano, ecc...) sia dettata da motivazioni umanitarie per "garantire la democrazia in quelle zone", e altre stupidaggini del medesimo tenore. Se fosse veramente questa la molla che spinge i paesi occidentali ad intervenire, come mai nessun contingente è stato mai inviato in Ruanda, in Congo, in Zimbabwe, in Sierra Leone e nelle altre realtà africane dilaniate da decenni di dittatura e conflitti interni?
Non hanno forse bisogno anche loro di democrazia?

Il problema è che queste ultime aree non sono "strategicamente importanti", in particolare per gli USA, a differenza dell'Afghanistan e dell'Iraq (che consentono di tenere d'occhio da vicino Iran e Cina) e del Medio Oriente in genere (che permette di mantenere sotto controllo i paesi produttori di petrolio).

In definitiva, ora siamo in ballo e bisogna - volenti o nolenti - ballare: abbiamo preso degli impegni ed è coerente mantenerli.
In vista della prossima volta, però, magari sarebbe il caso di fermarsi e ragionare se effettivamente sia sensato mandare delle proprie truppe in casa d'altri, o se non sia magari il caso di scrollarsi lo Zio Sam dalle spalle...
Perché mi pare che a quest'ora il Piano Marshall l'abbiamo ampiamente ripagato.

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